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ICEA - Istituto Certificazione Etica e Ambientale

  • Tra comunità "resilienti" e localismi

    Le parole chiave sono “resilienza” e “sussidiarietà orizzontale”. Si tratta di due concetti che da qui ai prossimi anni acquisteranno sempre più valore sostanziale per quanti saranno chiamati ad esprimere una “visione” dei percorsi di crescita socio-economici dei territori. La resilienza è la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi. In psicologia la resilienza si configura come l’attitudine ad affrontare le avversità della vita provando a superarle. Anzi, riuscendo – alla fine – ad uscirne più forti o positivamente trasformati. Se si applica questa categoria di pensiero all’analisi dei sistemi urbani e delle aree vaste, è facile incamminarsi sul sentiero della ricerca di nuovi equilibri in base alla corretta valutazione di alcuni fattori determinanti per il cambiamento: pianificazione sovra-comunale di lungo periodo e governance realmente inclusive delle platee di attori istituzionali e sociali. In altre parole: una comunità “resiliente” si dimostra tale quando è in condizione di “allargare” lo sguardo in maniera “intelligente” per affrontare alcune sfide cruciali: convivenza urbana ed innovazione dei suoi processi gestionali; risparmio energetico; mobilità sostenibile; riqualificazione del patrimonio edilizio; valorizzazione delle eccellenze produttive nei vari comparti; eccetera. L’altro fronte della stessa “battaglia” è senza dubbio la sussidiarietà orizzontale: i cittadini, anche attraverso i corpi intermedi, interagiscono con le istituzioni al fine di individuare gli interventi da effettuare nel proprio territorio. In questa prospettiva gli enti (per esempio i Comuni) che occupano lo stesso livello formale di competenze e di poteri istituzionali possono decidere di consorziarsi in nome di un obiettivo condiviso (patto dei sindaci). Appare, quindi, evidente che le singole aree territoriali dovranno decidere che cosa fare per affrontare le logiche della competizione globale. Subire i cicli economici oppure provare a pianificare e a progettare modelli di sviluppo in base alle proprie caratteristiche originali (ambientali, produttive eccetera)? Su questi temi si è svolto nei giorni scorsi a Pollica – organizzato da Ance Salerno – un workshop che ha preso spunto dall’analisi delle opportunità di finanziamento con fondi Ue per il turismo e la mobilità sostenibile. E’ emersa con desolante chiarezza la necessità di superare la carenza di soggettività politica dei territori - come ha sottolineato il professore Pasquale Persico - attraverso l’aggregazione di nuove entità decisionali (sussidiarietà orizzontale) che tentano di dialogare tra di loro e con altri organismi istituzionali di livello superiore (Ue), costruendo reti lunghe, aperte, accessibili a tutti i soggetti capaci di mettere da parte interessi di campanile e sterili personalismi. E’ in questo contesto che la tanto invocata green economy può assumere i connotati di un modello di sviluppo concreto e coerente con la vocazione di una determinata area vasta (il Parco del Cilento, ma anche la Piana del Sele, solo per fare due esempi pratici). Perché – altro problema di non poco conto – occorre filtrare bene i modelli di sviluppo da “importare” nelle singole aree territoriali. Non si può pensare – come, pure, accade – di ispirarsi a quanto è stato messo in campo altrove senza tenere conto delle specificità dei luoghi del Salernitano. E’ questo il segno di un provincialismo e di una subalternità culturali che hanno prodotto già molti danni, relegando in secondo piano, invece, le vere ricchezze “originali” intorno alle quali fare ruotare le nuove progettualità. Il principio ispiratore valido ed ineludibile? Rendiamo vivibili per i residenti le aree dove immaginiamo di attrarre turisti. Bonifichiamo ambiente e paesaggio attivando posti di lavoro e migliorando la qualità complessiva della vita. E’ stato scoraggiante ascoltare economisti, esperti di progettualità in ambito Ue ripetere sempre lo stesso refrain: qui al Sud, in Campania, in provincia di Salerno vincono i localismi deteriori che non accolgono le istanze dei territori intesi nella loro valenza di “attrattori” di investimenti pubblici e privati. Ma la fiducia nella “resilienza” delle singole persone e delle comunità del Mezzogiorno non può venire meno. Sarebbe come rinunciare - senza provare ad inseguirlo e conquistarlo - un pezzo di futuro. Quello al quale hanno maggiore diritto le giovani generazioni di meridionali. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it


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La laurea? Non basta
22/09/2017

thumbnail-small-1.jpgQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.

di P. Coccorese

ed E. Pappalardo

Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare.  [Continua]

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    Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
    07/07/2017

    Lo scenario.

    Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]


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