Glocal di Ernesto Pappalardo
Bond di distretto per combattere il credit crunch
Il problema della liquidità attanaglia sempre di più le imprese. Né si riesce – nonostante gli sforzi della Bce – a riattivare flussi costanti e significativi di finanziamenti diretti (senza “rallentamenti”) alle Pmi. Il rimbalzo delle responsabilità tra le parti in campo non risolve alcunché. Anzi, rende ancora più difficile trovare una via d’uscita. In altre zone d’Italia è stato messo in campo (da tempo) un esperimento estremamente significativo. Il riferimento è ai “bond di distretto”. Di che cosa si tratta? La banca lancia una campagna per l’erogazione di prestiti a medio termine a favore di aziende di una determinata area produttiva (il distretto o, comunque, una bene identificata zona geografica). Trasferisce, poi, questo portafoglio a una società “veicolo” che a sua volta emette obbligazioni a cui sarà assegnato un rating fissato sulla base della qualità complessiva delle aziende che hanno aderito. I bond saranno, poi, collocati sui mercati ed avranno come destinatari soprattutto gli investitori istituzionali. Il ricavato costituisce la provvista della banca, che a sua volta fornirà alle imprese finanziamenti a tassi prestabiliti. Il costo del finanziamento è, generalmente, inferiore a quelli di mercato. Dalla teoria alla pratica. A Varese, per esempio, l’esperimento dei bond di distretto non solo è già un successo acquisito (il progetto è stato realizzato nel marzo del 2012), ma è stato di recente riproposto sempre su iniziativa dell’Unione degli Industriali. L’accordo relativo al 2012 prevedeva - per capire bene le potenzialità dello strumento - il collocamento di un’obbligazione a tasso fisso per 10 milioni di euro e la contestuale messa a disposizione di questo importo per le aziende del territorio associate a Confindustria. I fondi raccolti sono stati erogati alle aziende a 36 mesi a tassi fissi differenziati: per le assunzioni di nuovi dipendenti; per il finanziamento del capitale circolante; per altre operazioni di investimento come l'acquisto di nuovi macchinari, l'espansione internazionale o la creazione di reti d'impresa. Un anno dopo il presidente degli industriali di Varese, Giovanni Brugnoli, intervenendo al “Tavolo del Credito” (riunito nella sede confindustriale) ha ribadito le linee guida ritenute adatte ad affrontare il persistente “credit crunch”. Ed è ripartito proprio dai bond di distretto: “Che a nostro parere - ha detto - costituiscono un ottimo veicolo di raccolta/impiego per sostenere e agevolare l’accesso al credito” (varesenews del 10 aprile scorso). Nella stessa occasione ha aggiunto che occorre lavorare sulla “cultura finanziaria degli imprenditori”. Un versante – questo – estremamente importante per aprire nuove prospettive alle piccole imprese così in difficoltà nella gestione delle relazioni con le banche. E’ evidente che i bond di distretto presuppongono una progettualità ed una visione dello sviluppo dei territori che in provincia di Salerno ed in Campania non si rintraccia ancora. Uno dei punti critici sui quali intervenire al più presto resta la fragilità del profilo finanziario delle imprese. E’ in questo contesto che vanno inseriti gli strumenti alternativi suggeriti a ragion veduta dal Centro Studi di Confindustria la settimana scorsa con l’obiettivo di canalizzare verso le aziende flussi di risorse al di là del tradizionale rapporto con le banche. Manca ancora - soprattutto al Sud - un elemento fondante per procedere a questo “scatto” di maturità. Non si ravvisa (o non si percepisce adeguatamente) la piena consapevolezza che soltanto la “logica di territorio” – la capacità di fare sintesi, puntando a standard di qualità dal punto di vista della produttività competitiva – e la realizzazione di processi aggregativi (anche al di là delle filiere settoriali) possono smuovere le acque di una palude in piena espansione. Nel frattempo le aziende chiudono ed avanza la desertificazione industriale con un progressivo aumento dei livelli di disoccupazione. Nessuno guida i processi, tutto è affidato alla buona volontà dei singoli che, spesso, quando indicano in maniera lungimirante le strade giuste si ritrovano a predicare in solitudine. L’esatto opposto di quella unità d’intenti - senza strumentalizzazioni di parte - che sarebbe davvero necessaria. Adesso non c’è nemmeno più il governo dei tecnici con il quale prendersela a torto o a ragione. Pare che siano tornati i politici. Speriamo bene. ERNESTO PAPPALARDO direttore@salernoeconomy.it
Glocal di Ernesto Pappalardo
La laurea? Non basta
22/09/2017
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) venerdì 15 settembre 2017.
di P. Coccorese
ed E. Pappalardo
Se tre indizi fanno una prova, allora è il caso di convincersi una volta e per tutte che la provincia di Salerno di sicuro non è “adatta” ai laureati. Per la verità, non si tratta di una constatazione particolarmente nuova, ma mettere in fila numeri e percentuali che confermano una triste verità fa sempre un po’ impressione. Primo indizio: solo l’8 per cento dei laureati è previsto in entrata nel mercato del lavoro salernitano (fonte: Sistema Informativo Excelsior/Unioncamere/Ministero del Lavoro) nell’ultimo periodo monitorato (agosto-ottobre 2017) in relazione ai contratti che le imprese del settore privato – industria e servizi – hanno dichiarato di volere attivare. [Continua]
Campania. La ripresa c’è, ma ancora lontani dalla pre-crisi
07/07/2017
Lo scenario.
Lo stato di salute dell’economia campana nel 2016 ha mostrato segnali di miglioramento, ma non tali da allentare le preoccupazioni - nel breve e medio periodo – dal punto di vista reddituale ed occupazionale. Secondo diversi fonti analitiche la “ripresina” si è basata su una lieve espansione della domanda interna – che ha rilanciato in maniera disomogenea i consumi – e dell’export (prioritariamente incentrato sul segmento farmaceutico ed in seconda battuta sull’agroalimentare). Il dato che, comunque, fotografa la reale dimensione della situazione si sintetizza nel ritardo ancora ben consolidato del Pil rispetto al periodo pre-crisi (2007). Nel 2016 il prodotto interno lordo campano accusa ancora un -16% in relazione al Pil registrato dieci anni fa. [Continua]
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